Il tizio aveva un naso lungo lungo su cui aveva parcheggiato un paio di occhialini col cordoncino ed un mento lungo lungo che puntava il suo gilet del colore di una vecchia berlina che aveva un mio zio che il parentado considerava picchiato come la lepre marzolina. Mi stava chiedendo cosa mi aveva portato a scrivere Nutrire La Macchina. Eravamo nella redazione di un magazine di quelli che hanno le covers stilizzate e stilose. Fino a poco prima ero intervistato da biondone dentute strizzate in completi di una misura in meno di quello che sarebbe consigliabile per una corretta ossigenazione dei polmoni nello studio di qualche canale satellitare con un pubblico di uomini veri. Ahahah. Guardavo Gil Marzolino ed intanto ripensavo a come tutto era cominciato.
Il mio primo ricordo è uno stanzone in cui il mio nucleo familiare di migranti mangiava il timballo mentre zia Lucrezia ammorbava l’aria con i suoi stramaledetti dischi di un crooner di origine armena che cantava cose come ” son tute lì acanto a le /che se na va /alla mamaaaaaa “. Più o meno. Decisi in quel momento che avrei fatto di tutto per mettere il maggior numero possibile di miglia tra il sottoscritto e la mamaaaaaa. Presi quindi a seguire i consigli di “Zio Lucro”. Cominciai a studiare le edicole e le rivendite di libri usati a poco prezzo nei pressi delle stazioni. Notai che gli uomini comperavano sempre le stesse cose. Detective stories,p rincipalmente hard boiled. Sci-fi e fantasy. Western. E le varie combos. Cominciai a scrivere cose come Vampiri Venusiani versus Virago Vergini. Rocco ammanetta il Basetta. Cico Zico nella valle dei Timbales . In breve vendetti il primo racconto. Pietro Esposito diventò Peter Show. E Peter Show divenne rapidamente un marchio. In capo a cinque anni non avevo il tempo nemmeno per editare la roba che scrivevo dall’alba al crepuscolo ed oltre. Mi occorreva aiuto. Non era possibile fermare la macchina. Setacciai le redazioni e poi anche i forum e ramazzai un piccolo esercito di nerd e di scrittori in erba in attesa della grande occasione. Li organizzai in squadre e li misi al lavoro . Tanti polli in batteria. Li chiamavo le Tute. Pagavo briciole, ma tante briciole possono portare ad un timballo.
Non sapevo naturalmente che le Tute avrebbero potuto decidere di giocarmi uno scherzo. Matte come lepri marzoline. Sicure che tanto non avevo il tempo di leggere tutto quello che producevano , si erano messe al lavoro ed avevano sfornato la storia di un popolo di nani che ballavano contenti e lavoravano in miniera per ricavare un prezioso combustibile di cui era ghiotto il loro padrone ovvero un dragone che alla fine aveva incenerito tutto intorno nel tentativo di digerire una pietanza troppo ricca. Un critico della rete si era imbattuto nel libro – probabilmente attratto dal titolo così distante dalle cose di Peter Show – e ne aveva fatto un caso. Nei campus si discuteva di quello che , a sentir loro, era una ” disamina puntuale dello zeitgeist e delle derive non immediatamente entropiche della società post industriale travestito da fantasy da dime magazine “. Più o meno. Un regista europeo di quelli che di solito vincono il premio della critica in un festival di città in cui i turisti d’estate potrebbero imbattersi nei miei pulps sta lavorando al film tratto da Nutrire la Macchina. Immagino che non incasserà come la tonnellata di b-movies tratti dagli altri miei lavori, ma pazienza. Devo decidere se cambiare le Tute o lanciare loro qualche altra briciola…
E la più terribile delle vendette che io ricordi, si è avuta in Egitto. Esattamente ai tempi in cui era in voga la Tuta..Nkhamon! 😀
😀
Il tizio aveva un naso lungo lungo su cui aveva parcheggiato un paio di occhialini col cordoncino ed un mento lungo lungo che puntava il suo gilet del colore di una vecchia berlina che aveva un mio zio che il parentado considerava picchiato come la lepre marzolina. Mi stava chiedendo cosa mi aveva portato a scrivere Nutrire La Macchina. Eravamo nella redazione di un magazine di quelli che hanno le covers stilizzate e stilose. Fino a poco prima ero intervistato da biondone dentute strizzate in completi di una misura in meno di quello che sarebbe consigliabile per una corretta ossigenazione dei polmoni nello studio di qualche canale satellitare con un pubblico di uomini veri. Ahahah. Guardavo Gil Marzolino ed intanto ripensavo a come tutto era cominciato.
Il mio primo ricordo è uno stanzone in cui il mio nucleo familiare di migranti mangiava il timballo mentre zia Lucrezia ammorbava l’aria con i suoi stramaledetti dischi di un crooner di origine armena che cantava cose come ” son tute lì acanto a le /che se na va /alla mamaaaaaa “. Più o meno. Decisi in quel momento che avrei fatto di tutto per mettere il maggior numero possibile di miglia tra il sottoscritto e la mamaaaaaa. Presi quindi a seguire i consigli di “Zio Lucro”. Cominciai a studiare le edicole e le rivendite di libri usati a poco prezzo nei pressi delle stazioni. Notai che gli uomini comperavano sempre le stesse cose. Detective stories,p rincipalmente hard boiled. Sci-fi e fantasy. Western. E le varie combos. Cominciai a scrivere cose come Vampiri Venusiani versus Virago Vergini. Rocco ammanetta il Basetta. Cico Zico nella valle dei Timbales . In breve vendetti il primo racconto. Pietro Esposito diventò Peter Show. E Peter Show divenne rapidamente un marchio. In capo a cinque anni non avevo il tempo nemmeno per editare la roba che scrivevo dall’alba al crepuscolo ed oltre. Mi occorreva aiuto. Non era possibile fermare la macchina. Setacciai le redazioni e poi anche i forum e ramazzai un piccolo esercito di nerd e di scrittori in erba in attesa della grande occasione. Li organizzai in squadre e li misi al lavoro . Tanti polli in batteria. Li chiamavo le Tute. Pagavo briciole, ma tante briciole possono portare ad un timballo.
Non sapevo naturalmente che le Tute avrebbero potuto decidere di giocarmi uno scherzo. Matte come lepri marzoline. Sicure che tanto non avevo il tempo di leggere tutto quello che producevano , si erano messe al lavoro ed avevano sfornato la storia di un popolo di nani che ballavano contenti e lavoravano in miniera per ricavare un prezioso combustibile di cui era ghiotto il loro padrone ovvero un dragone che alla fine aveva incenerito tutto intorno nel tentativo di digerire una pietanza troppo ricca. Un critico della rete si era imbattuto nel libro – probabilmente attratto dal titolo così distante dalle cose di Peter Show – e ne aveva fatto un caso. Nei campus si discuteva di quello che , a sentir loro, era una ” disamina puntuale dello zeitgeist e delle derive non immediatamente entropiche della società post industriale travestito da fantasy da dime magazine “. Più o meno. Un regista europeo di quelli che di solito vincono il premio della critica in un festival di città in cui i turisti d’estate potrebbero imbattersi nei miei pulps sta lavorando al film tratto da Nutrire la Macchina. Immagino che non incasserà come la tonnellata di b-movies tratti dagli altri miei lavori, ma pazienza. Devo decidere se cambiare le Tute o lanciare loro qualche altra briciola…
😀